NEWSLETTER n. 39 del 27 marzo 2025

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In questa Newsletter condividiamo delle riflessioni molto profonde di un’ex-ospite del “Villaggio” e un bell’articolo-intervista pubblicato da “Vita.it” sulla nostra realtà.
RIFLESSIONI CONDIVISE DA UN’EX-OSPITE DEL “VILLAGGIO DELL’ACCOGLIENZA E DELLA SOLIDARIETA’”Una nostra cara Amica, che ha alloggiato al “Villaggio” per 457 giorni e ne è uscita ormai da circa otto mesi, ha voluto scrivere delle riflessioni sull’esperienza vissuta e ce le ha partecipate. Ha poi, su nostro invito, svolto una testimonianza, prendendo spunto da queste sue riflessioni, in un incontro con tutti gli attuali ospiti del Villaggio.
Qui condividiamo i suoi testi, occasione per tutti di ‘capire’ il percorso che viene proposto, come può essere vissuto, nonché dove può riuscire a portare la singola persona. 
VITA.IT, piattaforma al servizio del Terzo settore, dell’innovazione sociale e dell’attivismo civico, ha pubblicato questo articolo sull’esperienza del “Villaggio” de “I Poveri al centro”:


Gli homeless che sono andati a vivere nel villaggio turisticoAlle porte di Roma, 14 case mobili e alcuni chalet di legno in un villaggio turistico sono stati presi in affitto dall’associazione di volontariato “I Poveri al centro”, grazie a un accordo con il gestore. Oggi ospitano 46 persone tra i 20 e i 74 anni, tutte provenienti dalla strada e da centri di accoglienza.di CHIARA LUDOVISIFrancesco mi aspetta all’ingresso del villaggio, proprio accanto alla reception. Mi fa segno di seguirlo con l’auto e percorriamo un viale immerso nel verde. Il centro di Roma non è distante, il treno che ferma poco lontano da qui impiega poco più di 20 minuti per arrivare a San Pietro. Eppure, sembra che la metropoli sia lontana anni luce: sarà per il bosco che interrompe lo sguardo, sarà per gli chalet e le case mobili che scorrono fuori dal finestrino. Turisti non ce ne sono – d’altronde non è stagione – ma d’estate il villaggio si riempie di turisti e la piscina è frequentata anche da tanti romani, che vengono a rinfrescarsi e a sentirsi un po’ in vacanza.Dove nasce l’idea dei volontariParcheggiamo l’auto fuori da un piccolo chalet di legno ed entriamo. Un tavolino, con un vassoio di pasticcini e una bottiglia d’acqua, due sedie, un lettino medico.
«Questo è il nostro punto di appoggio, lo usa anche il nostro medico volontario per le visite domiciliari», spiega Francesco Maria Matricardi, fondatore e presidente di “I Poveri al centro”, una piccola associazione di volontariato.
«Volontariato puro», tiene subito a precisare «perché nessuno di noi percepisce alcunché e poi, per scelta, non prendiamo fondi pubblici di alcun tipo e neanche dal 5 per mille. Operiamo grazie alla carità di chi ha, diretta a chi non ha».Il racconto di Francesco MatricardiL’associazione è operativa dal 2017 per offrire aiuto ai senza dimora della capitale:
«Inizialmente solo accoglienza diurna e servizi in sede, poi abbiamo capito che per andare oltre l’assistenzialismo e favorire il reinserimento sociale, che era il nostro obiettivo, l’alloggio era fondamentale. Ma non avevamo nulla, nessuna struttura nostra: così ci è venuto in mente di utilizzare le strutture turistiche, che specialmente durante il Covid erano vuote. Abbiamo quindi fatto accordi con alcuni piccoli alberghi intorno alla stazione Termini, molto semplici, con stanze da 4 a 6 letti e bagni comuni. Ci facevano un prezzo ottimo e così siamo partiti, accogliendo al loro interno alcuni senza dimora».Dagli alberghi al villaggioDa lì al villaggio il passo è stato breve: queste strutture ricettive poco si prestano all’accoglienza durante l’inverno, lavorano per lo più in estate. Così l’associazione ha iniziato a cercarne una disponibile ad accogliere chi non aveva una casa.
«Quando abbiamo trovato questo villaggio, a mezz’ora dal centro e ben collegato, ci siamo resi conto che faceva al caso nostro: non era un cinque stelle, ma aveva tutto ciò che ci serviva, dalle case mobili all’ingresso libero. In estate, si riempie e accoglie fino a 600 persone, ma in inverno è vuoto e le casette sono disabitate. Ce ne sono alcune un po’ più vecchie, che anche nel periodo estivo difficilmente potrebbero essere affittate, ma dignitose ed efficienti, con due stanze, un soggiorno, l’angolo cottura, il bagno e lo spazio esterno. Si trovano tutte nella stessa area, formano una sorta di villaggio nel villaggio. Ci hanno fatto un prezzo sostenibile e così, dall’inverno del 2018-2019 abbiamo iniziato ad accogliere qui, nell’ambito dell’emergenza freddo.
Ce ne saremmo dovuti andare in primavera ma è scoppiato il Covid e non potevamo mandare per strada le 11 persone che vivevano qui. Ci sono arrivati 5 mila euro di donazione da uno sconosciuto e li abbiamo subito investiti in questo progetto».Non solo un tetto sulla testa: il progetto Ca.La.Psi.In queste case mobili vivono oggi 46 persone di tutte le età: la più giovane ha 20 anni, il più anziano 74. Vengono tutti dalla strada, qualcuno da un centro di prima accoglienza.
In ogni casetta, vivono tre persone: due nella stanza doppia, una nella singola.
Oltre a ricevere un alloggio, piccolo ma dignitoso, vengono invitati a partecipare al progetto “Ca.La.Psi.”, che sta per “Casa, lavoro, psiche”, perché è questo che l’associazione cerca di offrire: un reinserimento sociale basato su questi tre elementi chiave imprescindibili.
«Ci siamo accorti che se non ricevono un accompagnamento a 360 gradi, al primo soffio di vento cadono di nuovo», spiega Matricardi.Le chiavi di casaPer quanto semplice, l’alloggio in casa mobile, all’interno del villaggio, ha dei punti di forza importanti rispetto al dormitorio:È aperto 24 ore su 24 e non 15 ore al giorno, come la maggior parte dei dormitori;Gli ospiti possono entrare e uscire a qualsiasi ora;Ciascuno ha la chiave della propria casetta, un gesto simbolico di autonomia;Devono condividere cucina e servizi solo con altre due persone, garantendo un alto livello di autonomia.Giuseppe, da manager a senza dimoraGiuseppe compirà 70 anni a giugno. È un architetto, ha avuto una carriera brillante lavorando per tanti anni in Francia e nell’Africa occidentale.
Poi, è arrivato il burnout: «Te ne accorgi dopo molto tempo. Con la depressione resti chiuso in casa, con il burnout invece vieni preso da un’attività frenetica negativa».
Così, in pochi mesi, Giuseppe ha perso tutto: il lavoro, i soldi, la casa.Dopo aver vissuto per strada, ha trovato l’associazione:
«Non ero sicuro di voler essere aiutato, non lo accettavo. Ma loro hanno avuto lo stile di farlo nel modo giusto. Oggi posso dire che sto ripartendo: ho ricevuto la pensione e sto mettendo in piedi la mia startup nel settore dei cimiteri privati».Sara e SimoneSara ha 20 anni, i capelli rosa e il viso ben truccato. Simone ha 39 anni.
«Ci conosciamo da bambini, ma il nostro fidanzamento non è stato accettato dalla famiglia. Abbiamo provato a vivere da soli, ma i soldi non bastavano e ci siamo ritrovati a dormire alla stazione Tiburtina».Sara ha la sclerosi multipla: «Per me la vita in strada era impossibile». Grazie all’associazione, hanno trovato accoglienza.Ora vivono in una casa mobile: «Ci sono tante persone belle, qui ho trovato qualcosa di molto simile a una casa e soprattutto una piccola famiglia».Molto simile a una casaProgetti per il futuro?
«Cercare subito un lavoro. E speriamo, un giorno, di avere una casa tutta nostra».
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